mercoledì 1 giugno 2011

Ucraina, giovane miss lapidata da tre uomini La Sharia islamica vieta i concorsi di bellezza

Un Paese sotto choc: una diciannovenne tartara di Crimea massacrata a colpi di pietra. Non si sa ancora se i tre uomini che l'hanno uccisa siano suoi parenti. Anche nell’Europa dell’Est violare la legge coranica può costare la vita.

L’unica fotografia che abbiamo di lei, prima che le sfigurassero il bel volto a colpi di pietre, la mostra di tre quarti, in posa da stellina anni Settanta: dunque con un abito generosamente scollato, a braccia scoperte. I capelli neri, lisci, le accarezzano le spalle; una collanina bianca, come gli orecchini, rischiara un bell’incarnato scuro; le labbra sono rosse, piene; gli occhi sgranati, splendenti, pieni di gioia di vivere. In un’altra epoca - lei, tartara di Crimea - sarebbe stata forse una ragazza del Serraglio, una danzatrice circassa; dico quando a Istanbul regnava ancora Abdul Hamid II, l’ultimo imperatore ottomano.

Probabilmente è l’ultima fotografia di Katya Koren da viva. Anzi ha tutta l’aria, questo scatto, di essere uno di quelli che Katya, 19 anni, spedì al concorso di bellezza nazionale al quale partecipò, in Ucraina, piazzandosi settima, e che poi le costò la vita. Perché Katya era musulmana, discendente di quei Tartari deportati in massa nel ’44 da Stalin. Sul suo cammino Katya si è imbattuta in un terzetto di grandissimi mascalzoni - parenti, conoscenti, compaesani, ancora non si sa, la polizia indaga - emersi per qualche diabolica macumba dal settimo secolo dopo Cristo che l’hanno lapidata perché partecipare ai concorsi di bellezza semplicemente non si fa, è contro la Sharia.

Gli amici di Katya, che è stata trovata sepolta in un bosco non lontano dal suo villaggio, il corpo orribilmente sfigurato dalla barbara esecuzione, raccontano quel che in casi analoghi abbiamo sentito dire di queste sventurate: ragazze moderne, avide di vita, illanguidite dalle tentazioni a colori che la Tv spaccia per irrinunciabili: bei vestiti, un bel trucco, magari un futuro da groupie, se non proprio da velina, in qualche «contenitore» pomeridiano o serale, con uno di quei presentatori sempre allegri.

Hina Saleem, ricorderete, venne sgozzata e sepolta nell’orto di casa, vicino Brescia, con la testa rivolta verso la Mecca e il corpo avvolto in un sudario. Hina aveva rifiutato un matrimonio combinato in famiglia dal padre, pagando con la vita la sua ribellione. Nel settembre di due anni fa, a Pordenone, morì Sanaa Dafani, accoltellata a morte dal padre in un bosco per via della sua relazione con un italiano, un «infedele».

Qualcuno, ogni tanto, ha provato a stilare una statistica, di queste morti, di questi «delitti d’onore» in Europa. Ma non ci sono numeri, cifre attendibili. Molte ragazze musulmane spariscono. Così, punto e basta. In arabo si chiama Jarimat al sharaf. È così che chiamano il «delitto d’onore», spesso derubricato in episodi di violenza domestica.

Nella moderna Istanbul, quella stessa Istanbul che preme per entrare in Europa, si conta un delitto d'onore a settimana. A Gaza numerose ragazze vengono uccise ogni anno in nome della sharia (una di esse, due anni fa, venne sepolta viva dal padre). In Europa, anche se lo Jarimat al sharaf va per la maggiore, i giornali se ne occupano solo quando la punta dell’iceberg torreggia tanto da non poter essere ignorato. Il settimanale tedesco Der Spiegel scrisse due anni fa che almeno cinquanta donne musulmane in Germania erano state vittime di un delitto d’onore. A Londra almeno dodici ogni anno. A queste vanno aggiunte le «vergini suicide», le ragazze che si tolgono la vita per sfuggire a un matrimonio forzato, di quelli combinati da mamma e papà. Si stima che siano decine le ragazze musulmane che spariscono ogni mese in Europa. Il più delle volte partono per un viaggio all’estero (è quel che poi diranno le famiglie) e non le si vede più, né a scuola né al lavoro. Downing Street stima per esempio che ogni anno si imbastiscano tremila matrimoni combinati.

Sottomissione femminile, fanatismo, oscurantismo, paurosa ignoranza. Le «colpe» delle vittime dello Jarimat al sharaf sono molteplici: il rifiuto di indossare il velo islamico, l’inclinazione a vestire all’occidentale, a frequentare amici cristiani (fino a convertirsi a un’altra fede) la volontà di studiare, volere il divorzio, essere troppo «indipendente» o moderna. Nel mondo musulmano, nell’anno di grazia 2011, di tutto questo ancora si muore. E perché la punizione sia in linea con la «tradizione», hanno pensato ora gli assassini di Katya, che c’è di meglio della lapidazione?

Nessun commento:

Posta un commento