martedì 6 gennaio 2015

Scritte anti Lega al cimitero di Lazzate

A Lazzate, paese in cui è stato sindaco per tanti anni il compianto dirigente leghista Cesarino Monti sono apparse scritte "infamanti ed ingiuriose" sul muro del cimitero a più di due anni (settembre 2012) da un episodio simile appena scomparso Cesarino Monti. Lo rende noto Andrea Monti, capogruppo Lega Nord in consiglio provinciale di Monza. Il fatto. Il primo giorno dell'anno, al cimitero di Lazzate, è comparsa una scritta su un muro, realizzata notte tempo: "Ergastolo ai leghisti". "La prima reazione, un po' di tutti - ha scritto Monti sul suo blog - è stata quella dell'indignazione. Al di là dei contenuti, su cui ognuno può avere la propria opinione, violare le sacre mura del camposanto ha fatto storcere il naso a molti". Dopodiché si è passati all'analisi del messaggio: "ergastolo ai leghisti". Molti si son detti: "Ergastolo? Ma se ormai non va più in galera nessuno in Italia?". Ed effettivamente, in Italia la giustizia è quello che è. Ammetto però che anche io sono rimasto un po' basito, perché se uno si arma di coraggio e bomboletta spry, e decide di invadere di notte un luogo sacro come il cimitero, bhè ti aspetteresti un tono più deciso nell'invettiva. Tipo: "al muro i leghisti", "impicchiamo i leghisti", oppure "a morte i leghisti". Ecco appunto, "a morte i leghisti". Questo era proprio il contenuto di un'altra scritta, sempre al cimitero, sempre su un muro, realizzata nel settembre del 2012 (a meno di due mesi dalla scomparsa del Sindaco Cesarino Monti). Confrontando le due scritte - scrive Andrea Monti - senza il bisogno di ricorrere ad una perizia calligrafica, sembrerebbe evidente come "la mano" sia la stessa.

sabato 3 gennaio 2015

TAGLIO DELLE REGIONI? Da Miglio (e Bassetti) una soluzione contro i neocentralisti

di Stefano Bruno Galli
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Vi sono delle circostanze in cui la storia si prende delle grandi rivincite e impartisce severe lezioni. È il caso della discussione delle ultime settimane in ordine agli accorpamenti regionali. Una discussione in parte generata dalla straripante vittoria, alle recenti elezioni in Emilia Romagna e in Calabria, dell’astensionismo. E dunque, dalla necessità di rifondare il regionalismo, anche alla luce del dibattito parlamentare relativo alla trasformazione del Senato in un’Assemblea di rappresentanza delle autonomie locali e alla revisione del Titolo V della Costituzione repubblicana.
Con buona pace del governatore della Campania, Stefano Caldoro, che ne rivendica la primogenitura, e di Nicola Zingaretti, governatore del Lazio, ma anche dei parlamentari del Pd Roberto Morassut e Raffaele Ranucci, che hanno depositato un disegno di legge costituzionale per ridurre le regioni da 20 a 12, l’idea di razionalizzare l’articolazione amministrativa della Penisola e di procedere con alcuni necessari accorpamenti è assai vecchia. E affonda le proprie radici alle origini del regionalismo italiano. Di questo bisogna esserne consapevoli e non far finta di nulla. Ma dal dibattito di questi giorni emerge che ognuno illustra la propria “ricetta” – sovente improvvisata – come la più innovativa e incisiva, efficace e vincente.