martedì 28 giugno 2011

NO TAV: RIPRENDONO I LAVORI! MARONI HA SALVATO L'ITALIA MENTRE VENDOLA ELOGIA I NO GLOBAL

C’è qualcosa di nuovo, e confortante, in quanto accaduto lunedì in Val Susa. E c’è qualcosa di antico, o meglio vecchio e senza speranza di redenzione. Il nuovo è l’azione del governo, per una volta decisa e senza paura. Non siamo qui a celebrare la logica del pugno di ferro, né a benedire gli scontri; ma che finalmente gli interessi dell’Italia vengano difesi con forza e non siano sacrificati per motivi di quieto vivere alle ragioni di una minoranza violenta e retrograda è rassicurante. Se la democrazia è il prevalere della volontà e degli interessi della maggioranza, difenderli con la polizia in assetto da battaglia è un comportamento profondamente democratico, checché ne pensino e ne dicano Vendola, Di Pietro e De Magistris (per una volta d’accordo) e tutta la sinistra che ieri si è schierata con chi ha picchiato i poliziotti e ha creato disordini bloccando minacciosamente il centro di Roma e di Torino.

L’Alta Velocità sulla Torino-Lione, attraverso la Val di Susa, è un dovere che l’Italia ha verso se stessa e verso l’Europa. Se ne parla dal 1990, l’accordo risale al gennaio 2001, nel 2007 l’Europa ha stanziato 671 milioni per l’inizio dei lavori ma ancora non era stato fatto nulla perché da sei anni l’opposizione violenta di alcune centinaia di valligiani di simpatie leghiste, subito affiancati da no global ed estrema sinistra richiamati dalla frenesia di menar le mani e contestare, blocca tutto. Morale, se entro la fine di questo mese l’Italia non avesse dato inizio alla costruzione della ferrovia avremmo perso l’euro-finanziamento e saremmo stati l’unico Paese Ue a viaggiare nel Duemila a dorso di mulo mentre gli altri sfrecciano su treni che vanno a 300 all’ora. (Lunedì, inoltre, una sentenza della corte d'appello ha assolto tutti gli imputati nel processo d'appello per i danni ambientali nel corso dei lavori alla Tav del Mugello tra Firenze Bologna) la È forse con la forza della disperazione che il governo ha deciso di calcare la mano e andare allo scontro. Che ciò sia avvenuto in un’ora drammatica per l’esecutivo e in parte contro simpatizzanti della Lega va a maggior merito del ministro Maroni, che in nome del progresso e delle convenienze economiche del Paese non ha badato al calcolo di corto respiro e non ha avuto timore di sfidare una parte del suo stesso elettorato in una Regione che il Carroccio governa solo per un pugno di voti. Il vecchio sono Vendola, Di Pietro e i resuscitati esponenti di Rifondazione comunista che hanno sparso il sale sulle ferite degli agenti con dichiarazioni mirate solo a solleticare gli istinti più bassi del proprio elettorato. Nichi e Tonino non lasciano passare un giorno senza candidarsi alla guida del Paese, ma questo non ha impedito loro di esercitarsi nella difesa e nell’elogio dei teppisti. Il primo ha redatto un appello con sindacalisti, no global e perditempo vari in cui lamenta come «arretramento inaccettabile rispetto all’esigenza della partecipazione democratica» il tentativo delle forze dell’ordine di far rispettare una decisione internazionale ratificata dal Parlamento. Argomentazioni da assemblea liceale del secolo scorso. Quanto all’ex poliziotto e pm Di Pietro, stravolto da una settimana in cui ha tentato di recitare la parte del moderato e dialogante, ha confuso gli aggressori con gli aggrediti, maledicendo - senti chi parla - la logica del manganello e dichiarando di preferire una bucolica Italia «a dorso di mulo» a un Paese capace di imporre una politica di sviluppo. L’Alta Velocità, i tunnel ferroviari, le gallerie che sventrano le montagne ci sono in tutta Europa, e se forse si può comprendere la paura del futuro di chi da secoli vive in una valle, è imperdonabile che chi aspira a essere un leader approfitti dell’arretratezza culturale altrui per attaccare il nemico. A far temere per la democrazia in questo Paese infatti non sono certo le ruspe del governo o i poliziotti che reagiscono alle sassaiole ma il becerume di chi tira pietre e fa sit-in contro le decisioni del Parlamento. È il cinismo di chi per ragioni di bottega dipinge come martiri i picchiatori no global, anche al prezzo di condannare l’Italia all’isolamento, al sottosviluppo e all’inevitabile declino economico che rende il nostro un sistema politico malato.La parte del saggio è toccata al Pd, che pur rammaricandosi degli scontri, ha ammesso che l’Alta Velocità va fatta e si è dimostrato ancora una volta un corpo estraneo alla sinistra uscita dall’accoppiata amministrative-referendum. Dal De Magistris che sfila con Luxuria al gay pride di Napoli incurante dei rifiuti, ai Cobas che assediano Montecitorio, ai «fratelli rom» di Vendola, si ha sempre più la sensazione che la nuova onda liberatoria che dovrebbe travolgere il berlusconismo altro non sia che un concentrato di demagogia nostalgica, violenza ideologica e inconcludenza pratica, che si scontra in modo irresolubile con ogni idea di governo della cosa pubblica. Vessillo di questo populismo e dilettantismo amministrativo è il nuovo sindaco di Napoli. Anziché promettere di ripulire la città in cinque giorni per poi fallire inesorabilmente e rendersi ridicolo, avrebbe fatto meglio a chiedere l’intervento dell’esercito, non per usare i militari come spazzini ma per schierarli a difesa dell’ordine pubblico - come ha fatto Maroni con la polizia in Val di Susa - contro chi brucia i rifiuti, manifesta contro le discariche o getta il pattume dalle finestre. Di questo passo, più che il centrodestra, il vento nuovo rischia di abbattere ogni velleità governativa della sinistra.

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