mercoledì 24 agosto 2011

Questo è il grande rischio: se fanno fuori la Lega, la Padania dovrà solo pagare, e tacere.

Bossi La Lega ormai è come un pugile suonato Ma con Umberto ko ci rimette solo il Nord




























































































































































































































































































































































































































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a detto bene Flavio Tosi lunedì: «La polemica non serve al momento e non serve neanche alla gente». La Lega soffre ma combatte, come un puglie suonato cerca di buttar il cuore oltre l’ostacolo chiamato manovra. I sondaggi cominciano a farsi sentire, in negativo. La difesa delle pensioni potrebbe pagare, ma certamente non nel breve periodo. E allora Bossi dispensa diti medi a chiunque, Alfano compreso.
Maroni nel frattempo sta dietro al cespuglio: parla nelle sedi opportune, spinge per i “suoi” sindaci, ma nessuna uscita ufficiale. Ormai non ci ricordiamo più la voce del ministro dell’Interno... Per questo è sempre più difficile trattare con la Lega. Silvio Berlusconi fa patti col Senatur, ma ha paura che gli altri dirigenti padani li boicottino. Anche Giorgio Napolitano è in difficoltà: ha sempre fatto sponda con il Carroccio per tenere a freno il Cavaliere, in cambio di una buona parola sul federalismo. E pure l’opposizione non sa più come dialogare con i leghisti: per molto tempo hanno sperato di usare i seguaci del dio Po come cavallo di Troia per abbattere l’impero berlusconiano. Gli unici che ci stanno capendo qualcosa sono l’Udc, Luca Cordero di Montezemolo e l’asse romano del Pdl. Nel senso che non perdono l’occasione di sparare contro i leghisti in difficoltà. Niente di nuovo, verrebbe da dire. Non si è mai sentito Pier Ferdinando Casini elogiare una proposta di Bossi, così come Gianni Alemanno - anche quando era un colonnello del Msi, poi An - ha sempre osteggiato il cosiddetto asse del Nord, formato da Giulio Tremonti e Umberto. Ma adesso il vento è cambiato davvero.

Il partito “romano” e i centristi, eredi della Prima Repubblica, non hanno mai mandato giù il successo dei barbari del Nord. D’altronde la Lega di lotta, insieme a Tangentopoli, ha imposto l’ingresso nella scena politica di parole come “federalismo”, “autonomia”, in una parola questione settentrionale. Per decenni, prima col fascismo e poi con la Dc, il Nord è stato messo da parte: utilizzato per fare cassa allo scopo di far ripartire il Mezzogiorno e di pagare la marea di dipendenti pubblici (soprattutto al Centro-Sud) che hanno garantito voti e stabilità al pentapartito e pure al Pci. E quando Bossi chiedeva che i tributi pagati dai lumbard rimanessero a Milano c’era gente, dalle parti del Parlamento, che si sbracciava e gridava allo scandalo. Per non parlare dei sindacati: non va dimenticato che le organizzazioni, che in teoria dovrebbero tutelare gli interessi dei lavoratori e basta, scesero a Milano in piazza col tricolore nel 1996, negli stessi giorni in cui il Senatur dichiarava l’indipendenza della Padania a Venezia.
Ecco quei milioni di persone che sono andati sul Po, che hanno assaltato i gazebo per eleggere nel 1997 il Parlamento Padano, che non mancano mai Pontida...ecco, questi sostenitori, questi militanti, queste donne e uomini del Nord, sono loro ad essere sotto attacco in questi giorni, e non la Lega. Chi alberga da decenni nei palazzi romani non vedeva l’ora di poter far brandelli del Carroccio per poter non sentire più le lamentele di commercianti, agricoltori e operai del Nord stanchi di mantenere gli sprechi.
Questo è il grande rischio: se fanno fuori la Lega, la Padania dovrà solo pagare, e tacere.

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