sabato 17 marzo 2012

Il Carroccio non morirà finché ci sarà il Nord


Il partito di Bossi è la risposta alla secolare frattura dell’Italia, oggi accentuata dalla crisi economica e dall’inasprimento fiscale



Caro Feltri,
non sono un esponente della Lega. Non mi spetta quindi una risposta politica. Sono - più semplicemente uno studioso del fenomeno Lega e di federalismo.










In questa veste mi permetto di replicare al tuo intervento dell'altroieri su queste stesse colonne: Bossi suicida la Lega.
I partiti nascono dalle fratture. La frattura Stato-Chiesa generò la Democrazia cristiana, quella capitalelavoro generò il Partito comunista. La frattura della fine della Prima repubblica generò Forza Italia. La Lega è nata dalla frattura Nord- Sud, la più profonda e più duratura della storia del Paese, sin dalla nascita dello Stato. E quale occasione perduta il 150˚ per riflettere sulle aporie dello Stato unitario. Al contrario, tutto è stato coperto dal candido mantello del politicamente corretto perché si temeva di mettere in discussione l'unità nazionale. Ma solo una democrazia matura ha il coraggio di guardare con spirito critico dentro se stessa e le proprie contraddizioni di fondo.
Finché durerà la frattura Nord-Sud, la Lega sarà una realtà politica viva e pulsante. La storia certifica che nessuno è mai riuscito a ridurla, perché è endemica e strutturale, determinata dalla differenza di tradizioni civiche - come ci ha spiegato il politologo di Harvard Robert Putnam vent’anni fa - ereditate dall’età comunale e dall’età feudale. Le virtù repubblicane delle comunità territoriali della valle del Po risalgonoall'esperienzastoricamunicipale del XII secolo, caratterizzata da un sistema di governo autonomo, che rappresentò la «maggiore alternativa» al feudalesimo allora dominante nel resto dell'Europa, compreso il Sud Italia normanno.
Questa esperienza storica- politica, istituzionale, economica, sociale e culturale - ha inciso nella mentalità collettiva sino a segnarla in profondità e a caratterizzarla in modo specifico in tutta la valle del Po. E la Penisola è spaccata in due proprio dalla frattura delle tradizioni civiche: fra chi ha vissuto l’età delle libertà comunali, dell’autonomia e dell’autogoverno, e chi non l’ha vissuta.
Fra chi ha spirito d’iniziativa, senso dell’impresa, volontà di rischiare e mettersi in gioco; e chi - al contrario- vuole solo farsi assistere dallo Stato. Prova ne sia la mole di investimenti - che non hanno mai prodotto sviluppo - destinati al Mezzogiorno nel corso degli anni.
La frattura è dunque incolmabile. Ecco perché la Lega è immortale. A questo bisogna aggiungere che, ogni anno, quasi il settanta per cento del fatturato del Paese (Pil), proviene da Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia. Quelle stesse regioni che, sempre ogni anno, staccano un assegno di circa 140 miliardi di euro a beneficio del resto del Paese. Questo significa anzitutto che chi vuole governare deve fare i conti con il Grande Nord. E che lo spazio politico della Lega c’è e deve essere presidiato. Per effetto della crisi e dell’inasprimento della fiscalità che produce malessere, risentimento, rancore (là dove si pagano le tasse, al Nord) - ma anche dei rigurgiti di centralismo del governo Monti va allargandosi ogni giorno di più.
Bossi s'è smarcato per andare a occupare questo spazio politico: ecco il disegno. Dopo aver provato a promuovere la riforma federale dall’interno delle istituzioni, occupando posti di potere grazie alla decennale alleanza con il Pdl, ha ripiegato su un coerente inasprimento delle posizioni. La rigenerazione dello Stato è impossibile. Ce lo ha dimostrato Luigi XVI che, nel 1789, convocò gli Stati generali - l'assemblea della riconciliazione nazionale tra nobiltà, clero e terzo stato - nell'intimo convincimento che lo Stato potesse promuovere la sua stessa rigenerazione.
Ma scoppiò la rivoluzione. 
Una rivoluzione che, oggi, al Nord si chiama lotta per l'indipendenza della Padania. Che è solitaria e non ammette alleanze, compresa quella con il Pdl. La radicalizzazione del confronto politico è un ritorno alle origini ideologiche del movimento e consente di rinserrare il dialogo con la base e con gli interessi organizzati dei ceti produttivi del Nord. Interessi da rappresentare e tutelare in sede politica per occupare lo spazio che s’è ampliato a causa della crisi economica. 


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