martedì 12 aprile 2011

Il federalismo fiscale è nell'interesse di tutti e non solo della Lega

11 Aprile 2011
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Siamo stati abituati, un po’ grossolanamente, dall’informazione di massa ad associare la formula del federalismo fiscale col colore verde della Padania. Si tratta di uno di quei casi in cui la diffusa inconsapevolezza viene sfruttata per mistificare la realtà, esasperandola fino a trasformarla in qualcosa che non è. È opportuno dire, invece, che la legge delega 42/2009, meglio conosciuta come Legge Calderoli o legge sul federalismo fiscale, nasce per dare attuazione al nuovo disposto dell’art. 119 della Costituzione così come modificato dalla Legge Costituzionale 3/2001 che, sebbene approvata con procedura aggravata e quindi con il consenso duplice del Parlamento, riguarda una legislatura in cui al governo del Paese c'era il centrosinistra e non Berlusconi.

La legge 3/2001 è giunta alla fine di un percorso di valorizzazione dell’ente regionale, bistrattato sin dalla sua nascita negli anni Settanta sebbene costituzionalmente previsto, assieme ai comuni e alle province. Eppure, solo con la l. 281/1970 - trent’anni dopo rispetto alla Costituzione - il modello regionale è stato attuato, vedendosi attribuire un’anomala forma di autonomia finanziaria di tipo puramente gestionale: ferma restando l’esclusiva potestà legislativa statale in materia finanziaria, era demandata alle Regioni la gestione delle risorse trasferite loro dallo Stato, secondo il famoso quanto inefficiente criterio della spesa storica che, attribuendo una quantità di liquidi pari a quelli risultanti dal bilancio di spesa dell’anno precedente, ha reso lo Stato un forziere fantasma e le Regioni enti dissipatori di risorse pubbliche in corrispondenza di bilanci gonfiati e non veritieri.

A ciò si aggiunga che fino agli anni Novanta - quelli in cui ci fu l'introduzione di alcune imposte come l'Ici e l'Irap - gli enti locali hanno vissuto solo di tributi compartecipati, cioè pagati dai contribuenti allo Stato e girati alle Regioni secondo necessità. Il che non ha favorito la responsabilizzazione delle amministrazioni locali e non ha permesso un avvicinamento del prelievo al territorio in linea con il principio di sussidiarietà.

Come è noto, è poi arrivata la l. 3/2001, con la nuova formulazione degli artt. 117 e 119 cost. che ha introdotto la potestà legislativa concorrente in materia finanziaria e la piena autonomia di entrata e di spesa, cioè l’esclusiva nella riscossione e gestione dei tributi propri. Ora, questa autentica bomba normativa necessitava di una nuova legge che coordinasse concretamente i rapporti Stato- Regione. Ecco come nasce la legge Calderoli, figlia di un processo ben preciso, sebbene ancora labile, e non della follia visionaria dei leghisti, come molti invece sostengono.

La legge Calderoli ha sancito una svolta importante, con il superamento del criterio della spesa storica e l'attribuzione agli enti locali della possibilità di creare nuovi tributi, anche addizionali rispetto a tributi erariali già esistenti, senza tuttavia duplicare questi ultimi. Nell’ottica tipicamente italiana e garantista si inseriscono i L.E.P (livelli essenziali di prestazioni), consistenti in parametri standard di trasferimento di gettiti fiscali dallo Stato alle Regioni, che riguardano servizi pubblici essenziali come la sanità e l’istruzione. Si tratta di un meccanismo di tutela e garanzia per il cittadino che punta a responsabilizzare gli amministratori e ad evitare gli sprechi.

Grande novità è prevista, in tal senso, nel progetto del secondo decreto attuativo della legge Calderoli, che stabilisce un sistema sanzionatorio o premiale per gli enti locali a seconda del loro virtuosismo amministrativo prevedendo, per quegli amministratori che portino la Regione al dissesto e al commissariamento, l’impossibilità di potersi ricandidare in futuro. Per il Sud, in particolare per la Puglia, questo sarebbe un passo forte, diretto, interessato e tutt’altro che nordista per la creazione di una nuova classe dirigente che rispetti la lealtà, la correttezza e la diligenza richiesta dalla natura degli incarichi.

Un'ulteriore riflessione doverosa è quella che riguarda il primo decreto attuativo della legge Calderoli, ovvero il D.lgs. 85/2010 sul federalismo demaniale, secondo il quale lo stato creerà un elenco di beni demaniali da trasferire agli enti locali imponendo agli stessi l’obbligo di mantenimento e valorizzazione di tali beni, cercando di attuare una distribuzione geograficamente proporzionale tra entità del bene e capacità dell’ente locale. In quest’ottica, le Regioni meridionali potrebbero risultare in prima battuta svantaggiate rispetto a quelle del Nord, i cui bilanci sono notoriamente più virtuosi, ma c’è un corollario a questa disposizione secondo cui l’ente potrà alienare i beni demaniali ricevuti dallo Stato e utilizzare il ricavato per coprire eventuali dissesti finanziari ove esistenti e dove non, reinvestire le somme in progetti di sviluppo. Ciò cambia radicalmente la prospettiva, ponendo questi trasferimenti come occasione di rilancio per le nostre Regioni.

A chi ancora si ostina a proporre un centralismo utopico, obsoleto e di opposizione, che non tiene conto né della realtà comunitaria e nazionale né dell'accresciuto protagonismo delle Regioni in virtù del IX comma dell’art 117 cost. e delle loro peculiarità, bisognerebbe ricordare che c’era un uomo di nome Carlo Cattaneo che, già nell’Ottocento , credeva che un federalismo economico responsabile e un municipalismo cooperativo interscambista di beni e servizi, nell’ottica della repubblica una e indivisibile, sarebbero stati la soluzione a molti problemi del nostro Paese.

da l'Occidentale

http://www.loccidentale.it/node/104436

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