La strage di Oslo è la prova che è impossibile garantire diritti e libertà a chi non rispetta né regole né doveri
Dopo la pubblicazione del mio commento sul Giornale dal titolo «La strage in Norvegia: il razzismo è l’altra faccia del multiculturalismo», pubblicato lo scorso 24 luglio, ho ricevuto una valanga di accese critiche e anche qualche violenta minaccia. Data la mia condizione di sicurezza assai critica che mi costringe da oltre otto anni a vivere con la scorta di primo livello eccezionale, ho dovuto denunciare alle competenti autorità i messaggi che incitavano apertamente ad odiarmi, a disprezzarmi, a radiarmi dalla società civile, qualificandomi come talebano, razzista, fascista, nazista, sentenziando la mia condanna all’ergastolo sbattendomi in galera e lanciando la chiave nell’oceano, perché sarei il peggior nemico dell’Italia e dell’Europa, il sommo traditore di tutto, degli arabi e dei musulmani, ma anche degli italiani e dei cristiani, un rinnegato che immeritatamente è riuscito a spacciarsi per giornalista e poi per politico, ma che in realtà è solo un ignorante e un fanatico.
Mi domando se i miei critici, denigratori e implacabili giustizieri si siano presi la briga di leggere il mio commento prima di infliggermi la pena capitale senza possibilità d’appello. Come hanno potuto tralasciare la mia ferma condanna delle stragi di Oslo e di Utoya, ripetute all’inizio e alla fine del commento, chiarendo che non possono essere in alcun modo giustificate e che non si può accordare alcuna attenuante a chi attenta alla sacralità della vita di tutti, a prescindere dall’etnia, dalla fede, dall’ideologia e dalla cultura? Probabilmente non sanno che proprio per la mia strenua difesa della sacralità della vita di tutti che è iniziato il mio calvario oltre 8 anni fa, quando da musulmano moderato e laico sostenni pubblicamente il diritto di Israele a esistere come Stato del popolo ebraico, condann ando aperta mente il terrori smo islamico che, dopo aver legittimato il massacro degli israeliani e degli ebrei, si è scatenato contro i cristiani e infine contro tutti i musulmani che non si sottomettono al suo arbitrio.
Così come si fonda sul comportamento di Maometto che ha ucciso i «nemici dell’islam» fino a commettere l’orrore di partecipare di persona allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Quraisha nel 628 alle porte di Medina.
Il ragionamento simile l’ho maturato nei confronti del multiculturalismo dopo l’atroce sgozzamento di Theo Van Gogh il 2 novembre 2004 da parte di un giovane terrorista islamico olandese di origine marocchina nel centro di Amsterdam e dopo la strage perpetrata da quattro giovani terroristi suicidi britannici di origine pachistana nel centro di Londra il 7 luglio 2005. Da allora hanno preso le distanze o pubblicamente denunciato il multiculturalismo capi di stato e di governo europei di sinistra e di destra, da Tony Blair a David Cameron, da Nicolas Sarkozy a Angela Merkel, da Silvio Berlusconi a Anders Fogh Rasmussen. Ebbene se io oggi condanno apertamente il multiculturalismo e come reazione vengo accusato di essere razzista, fascista, ecc. dovremmo estendere la medesima accusa a questi capi di Stato e di governo?
A questo punto dobbiamo chiarire la distinzione fondamentale tra il multiculturalismo e la multiculturalità. La multiculturalità è la fotografia della realtà inoppugnabile che ci fa toccare con mano il fatto che ormai in qualsiasi angolo della terra convivono persone provenienti da Paesi diversi, con fedi, culture e lingue diverse. Personalmente considero di per sé la multiculturalità come una realtà positiva, una risorsa che può tradursi in arricchimento e crescita per l’insieme della società e, su scala più ampia, per l’insieme dell’umanità. La multiculturalità è l’estensione, nel nostro mondo globalizzato, della realtà dell’emigrazione che è connaturata alla vita stessa, avendo da sempre l’uomo ricercato altrove migliori condizioni di sussistenza.
Il multiculturalismo invece è tutt’altro dalla multiculturalità. Mentre la multiculturalità è un dato che concerne gli «altri», il multiculturalismo è un dato che concerne il «noi». Il multiculturalismo è un’ideologia che immagina di poter governare la pluralità etnica, confessionale, culturale, giuridica e linguistica senza un comune collante valoriale e identitario, limitandosi sostanzialmente a elargire a piene mani diritti e libertà a tutti indistintamente senza richiedere in cambio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole. Il multiculturalismo laddove viene praticato, principalmente in Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Germania, ha finito per disgregare anche fisicamente la società al suo interno con la presenza di quartieri-ghetto abitati quasi esclusivamente dagli immigrati, ha accreditato l’immagine di nazioni alla stregua di «terre di nessuno» alimentando l’appetito di chi ci guarda come se fossimo «terre di conquista».
Ora spero proprio che sia chiaro il mio pensiero: se io, legittimamente, confortato anche dalla posizione espressa da capi di Stato e di governo europei in carica, denuncio il multiculturalismo, ciò non significa in alcun modo né che io sia contrario alla multiculturalità intesa come convivenza con persone di etnie, fedi, culture e lingue diverse e, meno che mai, che io nutra un pregiudizio razziale o religioso nei confronti delle persone. Come potrei mai proprio io, che sono di origine egiziana e che sono stato musulmano per 56 anni, avere sentimenti ostili nei confronti dei miei exconnazionali e dei miei excorreligionari?
Tuttavia, al pari di Gesù e di Gandhi, che dissero di amare il peccatore, ma di odiare il peccato, io rivendico il diritto di poter affermare pubblicamente e legittimamente sia il mio amore per gli immigrati e per i musulmani come persone sia la mia condanna del multiculturalismo come ideologia e dell’islam come religione.
È ancora lecito in Italia e in Europa affermare la verità in libertà? Possiamo ancora attenerci all’esortazione evangelica: «Sia il vostro parlare sì sì, no no»?
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