I rapporti degli agenti della Cia e del Sas inviati in Cirenaica per capire chi sono in realtà i ribelli anti-Gheddafi non sono stati del tutto rassicuranti, tanto da indurre l'ammiraglio Stavridis, comandante della Nato, a parlare di «odore di jihadisti». Nelle file dell'insurrezione, svolgono infatti un ruolo sempre maggiore i membri del 'Movimento islamico libico', un' organizzazione basata a Derna che ha inviato decine di volontari a combattere contro gli americani in Irak e in Afghanistan e che adesso fornisce alla rivoluzione un comandante vicino ad Al Qaida, Abdul Al Hasadi, e i pochi quadri con esperienza di guerra. Al fronte sono stati individuati anche alcuni membri dell'Hezbollah, arrivati dal Libano per aiutare i fratelli libici. Questo non significa che i fondamentalisti abbiano un ruolo dominante nel Comitato nazionale di Bengasi, frettolosamente riconosciuto dalla Francia come nuovo governo libico, ma ha certamente influito sulla decisione degli Stati Uniti di non rifornire (almeno alla luce del sole) gli insorti di materiale bellico.
Se in Libia la minaccia fondamentalista è ancora in nuce, in Tunisia e in Egitto sta già prendendo forma concreta. Le migliaia di islamisti rilasciati dalle carceri dopo l'abbattimento di Ben Ali e di Mubarak si sono organizzati molto in fretta e hanno già assunto, in collaborazione con i dissidenti rientrati dall'estero, un ruolo importante nella caotica battaglia politica in corso. In entrambi i Paesi essi hanno sposato - con poche eccezioni - la causa della democrazia, riconoscendo i diritti delle donne e rinunciando alla violenza. Al Cairo, per esempio, l'appoggio dei Fratelli Musulmani è stato determinante per l'approvazione delle riforme costituzionali che aprono la strada a nuove elezioni (ma che mantengono il principio che la sharia è la principale fonte di ispirazione delle leggi).
Molti osservatori, tuttavia, nutrono il sospetto che queste posizioni siano esclusivamente tattiche, nel senso che gli islamisti, vista la debolezza e la disorganizzazione degli avversari, si sono convinti di potere arrivare al potere attraverso le urne. Una volta legittimati dagli elettori, potranno sempre cambiare idea. Una prova di questa doppiezza potrebbe essere il loro comportamento sul piano sociale e religioso: in Egitto, per esempio, hanno già rilanciato la guerra contro i copti, e stanno dando crescenti segni di insofferenza verso i costumi relativamente liberi del Paese. Zomor, uno dei loro leader che ha appena scontato 27 anni di galera per la partecipazione all'assassinio di Sadat, ha espresso in una intervista al New York Times la certezza che, quando gli egiziani potranno finalmente votare liberamente, manderanno al potere i Fratelli Musulmani. Perfino un sito vicinissimo ad Al Qaida si è messo ad inneggiare alla democrazia.
La situazione più delicata per l'Occidente è quella yemenita: nessuno ama il presidente Saleh, al potere da 32 anni, ormai contestato da buona parte della popolazione e responsabile di una politica di repressione ancora più spietata di quella di Gheddafi. Ma egli è anche un prezioso, se non addirittura insostituibile alleato contro Al Qaida nella penisola araba, la componente più pericolosa della galassia di Bin Laden, responsabile di molti attentati, che avrebbe tutto da guadagnare dalla sua caduta.
Forse ancor più dei vantaggi che le rivolte arabe potrebbero portare allo sceicco del terrore, preoccupano le ricadute favorevoli all'Iran, dove per ora non si muove foglia: gli ayatollah esultano per la scomparsa di un vecchio nemico come Mubarak, puntano sulla caduta dell'emiro del Bahrein ad opera della maggioranza sciita e si compiacciono che la loro corsa alla bomba atomica sia passata in secondo piano. Washington, cioè, guarda sempre più agli sviluppi del Medio Oriente 'attraverso la lente persiana'. Questo porta a una visione tutta particolare del problema Siria, dove il regime è sì alleato con Teheran, Hezbollah e Hamas, ma è anche un acerrimo nemico dei fondamentalisti. Dopo un iniziale incoraggiamento alla rivolta, l'amministrazione Obama si è perciò fatta più cauta, per paura che al laico Assad subentri un governo di fanatici. In conclusione, è presto per dire se, a conclusione della rivolta della piazza araba, il mondo islamico sarà diventato più ostile nei nostri confronti: per fortuna, anche coloro che lo avevano accolto con entusiasmo hanno cominciato ad alzare la guardia.
Nessun commento:
Posta un commento