venerdì 11 marzo 2011

L'ultima del Cavaliere: "Bossi come Caravaggio Da Roma è riuscito a cambiare il nostro Paese"

Il paragone del premier sul leader leghista. Come per il pittore, del Senatùr non si sarebbe saputo nulla se fosse rimasto in Lombardia. alla presentazione della mostra di Michelangelo Merisi Sgarbi depone le armi: pace fatta con la Moratti.


Quando nel 1592 Michelangelo Merisi da Caravaggio, un giovane pittore lombar­do, si trasferisce a Roma, ha appena ventu­no anni. Qualcosa in più ha dovuto aspetta­re Umberto Bossi, nato nel 1941, eletto per la prima volta senatore nel 1987, ma si sa la politica in Italia ha tempi più lunghi dell'arte.

Cosa c'entra il più grande rivoluzionario della pittura secentesca con il leader della Lega Nord? In apparenza nulla; anche se siamo stati abituati a paragoni azzardati tra geni del pennello e virtuosi del pallone ( Roberto Baggio come Raffaello, Alessandro Del Piero uguale a Pinturicchio, secondo l'Avvocato Agnelli) mai ci eravamo spinti a considerare la politica degna di siffatto confronto.

Almeno fino a ieri, dopo la sorprendente intuizione del presidente del Consiglio che, inaugurando la mostra «Gli occhi di Caravaggio» al Museo Diocesano di Milano, ha raccolto il suggestivo parallelo del curatore Vittorio Sgarbi. «Bossi è come Caravaggio - ha dichiarato Silvio Berlusconi - nel senso che qui si preparò, in quella che lui chiama Padania, e poi arrivò a Roma a cambiare la politica italiana».

Entrambi, in effetti, trovano nella Capitale una situazione stagnante. Nel 1592 siamo giunti all'epilogo del Manierismo: terminata la grande stagione di Michelangelo, l'eccelso stile della Roma cinquecentesca cita se stesso, risulta epigonale e non produce più quei geni delle passate generazioni. Nel 1987 abortisce il tentativo del riformismo craxiano, che si deve dimettere da capo del governo, sostituito dall'immarcescibile Fanfani. Si va alle elezioni e vince l'immancabile Dc, da cui il solito pentapartito guidato dalla meteora Goria.

I primi contatti con l'ambiente romano sono, per Caravaggio, deludenti: un pittore siciliano, qualche locale come Antiveduto Grammatica, poi l'esperienza a bottega del Cavalier d'Arpino ( c'è sempre un Cavaliere nel destino di chi osa...). Non che il neo Senatur della Lega Lombarda all'inizio se la passi così bene. Glici vuole un po’ digavetta,quindi Tangentopoli, il seggio alla Camera con oltre 240mila preferenze, fino alla decisiva alleanza con Forza Italia, nel 1994, che dà vita al primo polo di centrodestra.

Per natura il genio è insofferente e non si accontenta di vivacchiare nello status quo. A Caravaggio danno fastidio puttini e cherubini su un tessuto cromatico zuccheroso e stucchevole. È ora che la pittura faccia i conti con la realtà, le luci e le ombre a esaltare i contrasti violenti dello spirito umano. Roma lo conquista: muta il suo stile, lascia da parte le nature morte e i piccoli ritratti degli inizi e inserisce nella trama più personaggi. Grazie al sostegno del Cardinal Del Monte, che lo supporta per un triennio, comincia a produrre i suoi capolavori, primo tra tutti il «Riposo durante la fuga in Egitto».

Anche Bossi sente che la partitocrazia romana ha da saltare. Il suo linguaggio è aspro, minaccioso, ostile ai giochi di palazzo. Però Roma gli entra dentro, resta incantato dalle bellezze della Città Eterna, lui abituato alle tristi nebbie padane. Meglio combattere dall'interno ma giocarsi la partita sul palcoscenico più prestigioso. Ha ragione Sgarbi: come Caravaggio, Umberto Bossi le cose che vede a Milano le realizza a Roma. «Se fosse rimasto in Lombardia- ribadisce Berlusconi la cui sensibilità del critico ancora non gli conoscevamo - di lui non si sarebbe saputo nulla, come il pittore, fino al momento della sua attività a Roma ».

Destini incrociati dunque, a oltre quattro secoli di distanza? Fino a un certo punto sì, poi il finale cambia, perché Caravaggio, dopo aver realizzato le commissioni più importanti, dal 1600 al 1606 comincia i suoi guai con la legge, fino alla fuga nel Sud (dove difficilmente Bossi andrebbe) e la morte a Napoli, nel 1610. Il Senatùr, invece, si è ammorbidito, ha sposato la realpolitik dopo averla rivoluzionata, ha accentuato il tatticismo consentendo al suo partito il ricambio della classe dirigente. La differenza sta proprio qua: i seguaci di Caravaggio sono generalmente pittori modesti, schiacciati dalla classe del leader, mentre i discepoli dell'Umberto si rivelano ogni giorno che passa tra i migliori politici nel nostro Paese.

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